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SECONDO CICLO: l'Ignimbrite Campana

By Michela Esposito e Silvia Guardascione

In questa terza parte della rubrica ci occuperemo dell’evento che ha caratterizzato il II ciclo dell’attività vulcanica dei Campi Flegrei: l’Ignimbrite Campana

Si definisce Ignimbrite Campana il prodotto della maggiore eruzione esplosiva avvenuta nell'area campana. Da un centro ubicato nei Campi Flegrei, furono emessi circa 150 km3 di magma di composizione da trachitica, che ricoprirono un'area di circa 30.000 km² .

La successione stratigrafica fu ricostruita grazie ad una perforazione eseguita nell'area nord-orientale di Napoli: questa ha chiarito la dinamica eruttiva e gli episodi di collasso calderico. 

Questo schema illustra le diverse fasi dell’eruzione dell’Ignimbrite Campana. La figura A rappresenta il serbatoio magmatico con un diametro approssimativo di 16 km e localizzato ad una profondità di circa 4 km sotto il livello del mare. Esso era costituito da due strati di magma a composizione chimica differente: uno più superficiale, e uno più profondo. L’eruzione iniziò con l’apertura del condotto in seguito ad una fase esplosiva freatomagmatica, cui ha fatto seguito (figura B) una fase pliniana, che comportò la formazione di una colonna eruttiva alta fino a 44 km. Durante questo processo vennero alla luce entrambi i magmi presenti nel serbatoio.

Ricostruzione delle varie fasi dell'eruzione dell'IC (da Pappalardo et al., 2002, modificato).

Alla fase pliniana seguì la formazione di una colonna pulsante e instabile, alimentata esclusivamente dal magma più superficiale (figura C) e determinata dalla migrazione verso l’alto della superficie di frammentazione e dal probabile generarsi di fratture. Successivamente la colonna eruttiva collassò e iniziò la formazione della caldera. I flussi piroclastici che ne derivarono raggiunsero distanze di 50 km verso nord, fino all’estinto vulcano di Roccamonfina, e si propagarono verso sud, raggiungendo la penisola sorrentina e l’ isola di Capri. Durante questa fase era ancora il magma più superficiale ad alimentare l’eruzione (figura D).

(da Pappalardo et al., 2002, modificato)

Durante la fase successiva la caldera principale collassò, i magmi superficiale e profondo si mescolarono: fu eruttata la maggior parte di volume di magma presente nel serbatoio attraverso l’attivazione di numerosi centri eruttivi, posizionati lungo le fratture che accompagnarono la formazione della caldera. Questi flussi raggiunsero le massime distanze dall’area calderica (figura E).

(da Pappalardo et al., 2002, modificato)

Durante le fasi finali dell’eruzione fu emesso il magma residuo più profondo ancora presente nel serbatoio: quest’ultimo alimentò flussi piroclastici concentrati e di modesto volume, che percorsero brevi distanze attorno all’area calderica (figura F). 

Al termine di questa eruzione i due terzi della Campania apparivano ricoperti da una coltre di tufi spessa fino a 100 m, mentre enormi volumi di cenere vulcanica rimanevano sospesi nell’atmosfera causando, probabilmente, sconvolgimenti climatici estesi all’intero pianeta.

Come possiamo vedere dalla carta geologica dei Campi Flegrei, depositi di Ignimbrite Campana affiorano lungo i margini della caldera ed in particolare tutti i depositi di breccia ed i tufi affioranti lungo l'allineamento Camaldoli-Poggioreale sono attribuibili a tale eruzione.

CARTA GEOLOGICO-STRUTTURALE SCHEMATICA DEI CAMPI FLEGREI da http://www.ov.ingv.it

A seguito di due perforazioni eseguite lungo la costa, a sud della collina di San Martino e nella parte orientale della città di Napoli, è stato osservato che i depositi dell’Ignimbrite Campana non affiorano prima dei 450 e 305 m di profondità sotto il livello del mare. 

Il collasso della caldera è il risultato sia della formazione di nuove faglie, sia della riattivazione di parte di strutture regionali preesistenti. L'area collassata comprende una parte sommersa ed una parte emersa. Nella parte sommersa, il margine della caldera è stato ricostruito sulla base di evidenze geofisiche, morfologiche e strutturali. Nella parte emersa, il margine della caldera è invece marcato da superfici ricoperte da potenti successioni di rocce piroclastiche di età più recente dell'Ignimbrite Campana.

La parte occidentale del bordo calderico corrisponde agli alti morfologici di Monte di Procida e Cuma, mentre la parte settentrionale è esposta a San Severino, lungo il margine delle piane di Quarto e Pianura, e lungo l'allineamento Camaldoli-Poggioreale.

 Affioramento nella cava a nord-est di Quarto: sono visibili, alla base, depositi piroclastici più antichi dell'Ignimbrite Campana (IC - delimitata dalle linee tratteggiate) da http://www.ov.ingv.it
Il centro eruttivo di Cuma da http://www.ov.ingv.it

 

TIPO DI EDIFICIO: duomo lavico

ETÀ DEI PRODOTTI: 36.8 ± 1.5 ka

CARATTERISTICHE ERUTTIVE: effusioni laviche

CARATTERISTICHE DEI PRODOTTI: lave compatte di colore grigio chiaro

In particolare, l'allineamento Camaldoli-Poggioreale viene interpretato come il prodotto della riattivazione di una preesistente struttura regionale. Il margine orientale della caldera è segnato da una struttura regionale ad andamento NE-SW che separa l'area vesuviana dall'area in subsidenza della parte orientale della città di Napoli. Verso sud il bordo della caldera è marcato dai centri eruttivi più recenti di 39 ka dei banchi di Pentapalummo e di Miseno.

La caldera Flegrea copre un'area di circa 230 km2 e racchiude tutti i centri eruttivi attivi dopo l'eruzione dell'Ignimbrite Campana.


GLOSSARIO:

Trachite = roccia effusiva alcalina ricca di fenocristalli di ortoclasio e di plagioclasio con una quota di cristalli di biotite e pirosseni. Forma “l’ossatura” dei Campi Flegrei

Eruzione pliniana = Eruzione esplosiva estremamente distruttiva caratterizzata dalla emissione di grandi volumi di pomici e ceneri attraverso una successione tipica: caduta-surge-flusso. Prende il nome da Plinio il Vecchio che descrisse l’eruzione del 79d.c del Vesuvio.