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CAMPI FLEGREI
Economia e struttura delle ville senatorie
Relazione al II Convegno di F.I.S.A. a Capo Miseno (NA)

di Angela Clara Infarinato 25-28 aprile, 2002

Lo scopo di questo breve intervento è quello di analizzare la struttura e le funzioni di quelle che la società romana fra la fine della repubblica e l’inizio dell’impero chiamava “villae”.

Al contrario di come ci potrebbe far pensare un raffronto con le fonti meramente letterarie e con il termine moderno corrispondente, la villa non era considerata soltanto un edificio di lusso nel quale trascorrere i momenti lontani dalle attività lavorative e politiche, bensì un’entità produttiva su vasta scala, organizzata in modo paragonabile ad un’azienda agricola del periodo pre-industriale, o, ancora più strettamente, con le piantagioni schiavistiche sud-americane.

Sono stati volutamente tralasciati tutti gli aspetti storico-artistici relativi a queste costruzioni per poter concentrare l’attenzione sugli aspetti funzionali ed economici, che, come apprendiamo dalle fonti (soprattutto Columella “De Villa Perfecta” e Varrone...) rivestivano un ruolo predominante nella mentalità di chi queste strutture le ha pensate e realizzate.

Sostanzialmente, in questa area, si impiantarono due tipi di ville, entrambe molto redditizie: le ville rurali vere e proprie, con introiti provenienti dai fundi agricoli, e le ville marittime, con introiti provenienti dalle piscinae marittimae e dai vivai per i frutti di mare (ostriaria)[1].

Alla fine del I sec a.C., in questa zona, la corporazione dei piscinarii era fra le più ricche e potenti. A Puteoli si erano organizzate le banche che facilitavano i traffici monetari provenienti dagli introiti delle ville, a testimonianza di come si possa parlare, sebbene in un’economia di stampo precapitalistico, di processo proto-industriale con re-investimento dei proventi ottenuti.

Se da un lato è vero che le ville erano utilizzate dai proprietari come luogo di “otium”, come riportato, fra gli altri, da Cicerone ed Orazio, ed erano di conseguenza curate esteticamente come un gymnasium greco, d’altra parte va tenuto in considerazione che alla parte destinata al “lusso”, la “pars urbana”, era destinato uno spazio sensibilmente ridotto rispetto all’area produttiva della villa stessa: la “pars rustica”. La pars urbana, inoltre, non era destinata soltanto al riposo e al divertimento del proprietario, ma vi si intrattenevano anche tutte le relazioni commerciali, come una sorta di sala di rappresentanza. I personaggi di un certo riguardo e i possibili acquirenti venivano ospitati, spesso, nelle lussuose strutture della villa stessa, data la difficoltà e la grande durata degli spostamenti e, interesse del padrone, era quello di mostrare l’ottimo stato di salute delle strutture produttive: in quasi tutte le ville, infatti, è presente un loggiato o un portico con vista sui campi, nel caso di ville agricole, o sulle piscine, nel caso di ville marittime, da cui è possibile ammirare la bellezza del “fructus”, del prodotto, e l’incessante lavoro degli schiavi (figura 1).

Figura 1 - Corpo centrale delle ville romane.

Ogni villa, infatti, era sostanzialmente costituita da due corpi ben distinti, sebbene appartenenti allo stesso edificio, che possedevano ingressi diversi e che permettevano ai rispettivi occupanti di non entrare mai in contatto gli uni con gli altri.

A raccordo delle due parti era posizionato l’appartamento dell’Ostiarius, noi diremo il “portiere”, che poteva, in questo modo, controllare facilmente le attività che si svolgevano nelle due parti.

Al riparo dagli sguardi degli ospiti, invece, si collocavano gli alloggi degli schiavi, le stalle per gli animali e gli organi produttivi per la realizzazione di attrezzi (officine per fabbri e carpentieri), per la trasformazione delle merci (frantoi e torchi, ad esempio) e per il loro immagazzinamento (figline ceramiche per la realizzazione di anfore, concerie per la produzione di otri in pelle). Una grande attenzione veniva posta sulla capacità di una villa di essere un organismo indipendente che avesse bisogno di acquisire sul mercato il meno possibile: gli attrezzi e le risorse alimentari, infatti, dovevano essere prodotti nella villa stessa.

Nel primo periodo di diffusione di questo tipo di industria al mercato esterno era riservato il rifornimento di schiavi: siamo fra il I sec. a.C. e il I sec d.C. un periodo in cui, a causa dei numerosi prigionieri fatti durante le guerre di conquista, uno schiavo costa come un’anfora di vino. A causa del basso costo, quindi, risulta economicamente sconveniente l’”allevamento” della manodopera servile, dato che i bambini dovevano essere a lungo mantenuti, senza che potessero essere produttivi: in questo periodo è concessa la “conserva”, ovvero la moglie schiava, al solo “monitor”, al guardiano, mentre nelle celle, come mostra la figura 2, vengono alloggiati 4-6 schiavi, tutti dello stesso sesso.

Figura 2 - Struttura degli alloggi servili.

Dopo la fine del I sec. d.C, invece, la scarsa disponibilità di schiavi rende necessario l’"allevamento" in villa delle risorse umane e gli alloggi servili iniziano a somigliare sempre di più alle stalle per l’allevamento degli altri “instrumenta”, ovvero degli animali: le celle diminuiscono di dimensione e vi viene alloggiato lo schiavo con la propria conserva, in questo modo gli schiavi diventano “schiavi di famiglia” e si legano sempre più saldamente al padrone e alla terra che occupano.

Per quanto la società romana fosse una società di tipo schiavistico, paragonabile, come è stato detto, a quella delle piantagioni di cotone e tabacco dell’America Latina e degli Stati Uniti del Sud, gli schiavi godevano di alcuni diritti: intanto il peculio, ovvero una piccola somma di denaro, con cui potevano comprarsi l’affrancatura e divenire liberti (i figli di questi sarebbero stati liberi a tutti gli effetti); poi una quantità di cibo stabilita per legge e bastante alla loro sopravvivenza; il bagno alle terme almeno una volta a settimana; e infine ad alcune giornate di riposo (circa 50 in un anno) in corrispondenza con le feste sacre.

Il padrone che non avesse rispettato i diritti del suo schiavo perdeva lo schiavo stesso che poteva, o essere affidato ad un altro padrone o allo stato o, più raramente, divenire liberto.

Lo schiavo, tuttavia, non aveva personalità giuridica, per cui ogni accordo o controversia veniva fatto fra padrone e divinità.

L’instabilità statale, l’insicurezza delle vie commerciali e il conseguente interrompersi degli scambi, portarono ad un rapido ed inevitabile declino della villa come struttura produttiva che, chiusa in se stessa, diede vita ad un’economia di sussistenza che porterà alla medievale economia curtense.

NOTIZIE STORICHE

L’area dei Campi Flegrei è stata caratterizzata da una precoce romanizzazione al punto che, già, dal 290 (fine guerre Sannitiche) era saldamente in mano ai romani: quando nel 90 a.C ottenne la cittadinanza romana, essa sembrò portare più oneri che privilegi.

Nel 264, proprio a causa di questo legame che già sussisteva con Roma, Napoli partecipa alla spedizione romana in Sicilia come alleata ottenendone in cambio privilegi di natura economico-commerciale (libero accesso agli spazi economici aperti militarmente dai romani).

Nel II e nel I sec a.C. le ville, tuttavia, non dovevano ancora essere troppo numerose per via del pericolo della pirateria ma, dopo che Pompeo debellò completamente i pirati, inizia la cosiddetta “voluptas aedificandi” che diede origine a complessi come quello di Baia, non una vera e propria città ma un agglomerato di ville, alberghi e terme, senza edifici pubblici.

L’unica evidenza superstite di questi edifici è costituita dalle c.d. terme di Baia.

Dal 37 a.C. inizia la costruzione di portus Julius, che avrebbe dovuto costituire un avamposto contro Sesto Pompeo, tuttavia esso era soggetto ad insabbiamento, per cui nel 31 a.C, si intraprende la costruzione del porto di Miseno che divenne la base della classis misenatis ovvero la principale base navale in occidente.

Già dal I sec. a.C. c’era stato un grande interesse per la zona da parte della classe dirigente romana (vi possedevano ville: Mario, Crasso, Cesare, Ortensio, Lucullo, Cicerone), interesse che fu spinto avanti dal ritorno alle tradizioni religiose, di cui la zona era elemento predominante, introdotto dal regime Augusteo.

Fino a tutto il I sec. d.C. la zona gode di un periodo di massimo splendore economico ed edilizio, tanto che negli anni 90 si apre la via Domizia che collega Puteoli a Sinuessa e all’Appia, evitando il tratto che passava per Capua. Sotto Traiano, tuttavia, il potenziamento di Ostia e Centumcellae, più vicine a Roma, priva l’area Flegrea del monopolio sui traffici da e per Roma provenienti e diretti alle lunghe distanze, fino a ridurre gradatamente l’emporio flegreo a mercato di portata regionale.

Nel III sec, oltre alla crisi economico-sociale che prelude al tardo-impero, si rinnova il fenomeno del bradisismo che causa l’inabbissamento dei porti e delle ville sul litorale fino all’inevitabile restringimento e al progressivo abbandono anche delle ville nell’entroterra che non potevano più contare sui porti che favorissero lo smercio dei loro prodotti.

L’intensa attività delle ville viene progressivamente sostituita da piccoli centri rurali che istallano nelle vecchie costruzioni, oramai decadenti, le proprie aree cimiteriali.

[1] Famosi furono i vivai di Sergio Orata, inventore dei vivai per Ostriche nel lago di Lucrino, mentre Caio Hirrio fornì le seimila murene per il banchetto trionfale di Cesare