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SAN SOSSIO

 … Nel 906, il famoso storico Giovanni Diacono, il suddiacono, Aligerno e il preposito Maiorino avevano trasportato a Napoli le spoglie di san Sossio, da Miseno.

Per secoli saranno uniti i resti gloriosi dei corpi dei santi Sossio e Severino, finché mons. Michele Arcangelo Lupoli, grande figura della storia di Frattamaggiore e d’altrove, nonché prestigioso prelato, non ne promuovesse il trasferimento nel 1807 alla chiesa madre di Fratta. La città accolse le reliquie del suo santo Patrono in un tripudio memorabile, ritornava presso gli eredi dei suoi concittadini il martire Sosio di Miseno!

A proposito del nome esatto, qualche riflessione sembra opportuna.

Nei testi di tutte le “passiones”, che citano il nome del Santo Diacono di Miseno, viene fuori il nome di Sossio e anche quello di Sosio. Giovanni Diacono, il più credibile degli autori essendo cronista “oculare”, e non per “il sentito dire” esclamò sulla “tomba arcuata in tondo, a forma di Basilica”, così come descritto dal superteste “vecchio sacerdote di Miseno” all’arcivescovo di Napoli Attanasio: “hic est Sossius levita et martyr”.

Sossius chiamò il Santo, ogni volta, tranne che nel titolo della relazione, da lui intestata “Acta translationis s. Sosii”, con una sola esse. I latini scrivevano il nome Sosius con un solo sibilo: dal I secolo a.C. non è raro trovare scritto il nome con due sibilanti. I greci dai quali l’appresero i Latini, scrivevano Sossius e Sosios.… E il nome Sosso? Viene dal Carme di Papa Simmaco, perché nel Martirologio Geroriniano è scritto Sesontus e non Sossus, come erroneamente riportato, e sostenuto da uno stimato studioso. Nel Martirologio romano, al 23 settembre è scritto: “In Campania, la commemorazione del beato Sosio diacono di Miseno, dal cui capo vedendo il s. vescovo Gennaro levarsi una fiamma, mentre leggeva il vangelo in chiesa, predisse che sarebbe stato martire. Di fatto, poco tempo dopo, essendo in età di 30 anni, ricevette il martirio insieme al detto vescovo con l’esser decapitato”.

San Sossio, Miseno

… Neppure un solo Sossus nei vocabolari, opere e gesta, e negli elenchi del cursus honorum. Il carme di papa Simmaco è del VI secolo (501-506), in epoca cioè in cui l’epigrafia latina subiva la “degeneratio litteraturae” ed era influenzata da vari “refusi”, per dirla in gergo giornalistico, tra cui la caduta della “i” dopo due sibilanti, fenomeno di provenienza greca (e forse osca).

Ancora oggi c’è che scrive esattamente “classiari” e chi erroneamente “classari”, per marinai della flotta di Roma imperiale. “Sossus” è un errore di chi incideva il carme. Il linguaggio corrente de tempo aveva cambiato o storpiato la lingua in alcuni lemmi.

Comunque trattasi sempre dello stesso Santo, diacono di Miseno, martire sulla Solfatara con S. Gennaro: San Sos(s)io, patrono di Frattamaggiore.

… Oggi Miseno, una volta simbolo di Roma sul mare, è un paesino incastonato tra l’azzurro del cielo e del mare, il verde delle colline e il giallo del tufo dei vulcani collassati.

La chiesetta del “suo” San Sosio è un piccolo museo a cielo aperto: spezzoni di marmo, capitelli maestosi, tronchi di colonne e una policromia di marmi forati da litodomi, che ne segnano i trascorsi del mare, a causa dei bradisismi.

Ma il cimelio più bello spicca sulla facciata della chiesetta, in alto a sinistra dell’ingresso: la lapide, apposta dal popolo Frattese nel 1905, accorso a Miseno ad onorare san Sosio, che qui nacque come i loro padri, nella ricorrenza dei 1600 anni del suo Martirio.

Una processione memorabile. Quel marmo oggi ha colore di avorio del tempo e delle piogge nella luce dei sentimenti indelebili.

Gianni RACE dalla “Rassegna Storica dei Comuni” Atellana

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